Un licenziamento senza apparente motivazione è all’origine dell’ennesimo problema per il gigante social cinese TikTok: y Bytedance Ltd è stata infatti portata in tribunale da Yintao Yu, ex responsabile del dipartimento ingegneria dell’azienda negli Stati Uniti, che accusa la società madre di aver rubato materiale da altri social e di essere “utile strumento di propaganda per il Partito Comunista Cinese”.

La denuncia, depositata presso la Corte Superiore di San Francisco, rischia di accelerare il percorso verso lo scontro definitivo: l’ex dipendente accusa l’azienda di aver tratto profitto sfruttando la proprietà intellettuale della concorrenza – Instagram e Snapchat in particolare. A peggiorare ulteriormente la posizione di ByteDance c’è anche l’affermazione secondo cui negli uffici di Pechino vi sarebbe un Comitato in cui lavorano alcuni membri del partito comunista cinese chiamati a monitorare il modo in cui “l’azienda porta avanti i valori fondamentali del comunismo”. Pare esista persino un pulsante mortale per disattivare le app del gruppo in un istante.

Yintao Yu afferma che ByteDance ha accesso a tutti i dati degli utenti, anche a quelli archiviati nei server americani. A questo risponde la società cinese che parla di accuse infondate. Ma l’ex dipendente afferma di esserne certo: TikTok – dice – ha copiato video e post da Snapchat e Instagram per attirare gli utenti, in più ha creato tantissimi bot per aumentare il tasso di coinvolgimento. Non solo, perché nell’accusa è coinvolta anche l’app Douyin – versione di TikTok per la Cina – ed in particolare l’algoritmo con cui si privilegia la visualizzazione di determinati contenuti a scapito di altri. In questo caso ByteDance avrebbe manipolato l’algoritmo per favorire i messaggi di odio contro il Giappone e nascondere quelli a sostegno delle proteste anti-cinesi ad Hong Kong.

Lo stesso ex dipendente ha accusato il fondatore di ByteDance Zhang Yiming di aver versato tangenti ad un funzionario governativo cinese attualmente in carcere per corruzione. Fino ad ora però nessuno aveva mai fatto il nome di chi lo aveva pagato.

Questo a confermare le preoccupazioni delle pubbliche amministrazioni di diversi Paesi, USA in primis. circa i dubbi sulla sua trasparenza ed integrità etica.

In questi ultimi mesi sono diversi i casi di presa di posizione istituzionale per il divieto all’uso dell’app: nello stato del Montana (USA) sarà bannata dal 2024, stessa decisione, a partire dal marzo scorso anche in Nuova Zelanda, divieto precauzionale per i dipendenti del governo britannico e anche per i dispositivi portatili dei membri e dello staff di Commissione, Consiglio e Parlamento UE. Ma è proprio negli Stati Uniti che si sta svolgendo da tempo la battaglia più aspra, e il recente interrogatorio al CEO Shou Zi Chew non ha affatto schiarito le idee degli accusatori.

L’Authority Privacy italiana, considerato che le notizie circolanti hanno fatto riferimento ad una presunta comunicazione illecita di dati personali da parte di TikTok verso il Partito Comunista Cinese, ha invitato TikTok a fornire le proprie osservazioni su quanto riportato e sull’eventuale coinvolgimento di TikTok Technology Ltd nella trasmissione di dati di utenti anche italiani ed europei alle autorità governative cinesi.

Il riscontro all’Autorità, avviato in data 10 Giugno 2023, dovrà pervenire al Garante entro 15 giorni dal ricevimento della richiesta.